di Giulia Bogliolo Bruna
Nella sua incessante ricerca dell’Assoluto, Francesca Mele s’interroga sulla genesi delle sue inquietanti ossessioni, sul suo continuo rigenerarsi alla vita. Nei suoi dipinti, il tempo storico sembra sospeso, quasi abolito. La conoscenza del reale svanisce, il sentimento dell’identità si dissolve. Sommersa dal vortice vertiginoso delle allucinazioni e dei fantasmi che emergono imperiosi dagli abissi dell’inconscio, la superficie pittorica, trafitta da un fascio di luce proveniente da un Altrove transfisico, è cosparsa da signa polisemici. “ La natura suole nascondersi” affermava Eraclito: la pittura di Francesca Mele si informa ad un’estetica imperniata su una visione verticale dell’universo. Le apparenze sensibili rivelano il loro carattere effimero ed ingannevole. Decriptare il reale, sembra suggerire l’Artista, è vana illusione. In una sinfonia inebriante di colori e di forme che ammalia e sgomenta, le tetre potenze dell’Inconscio ed un velato erotismo generano visioni fantasmagoriche e surrealiste. Le immagini mentali si materializzano in un’orgiastica effervescenza di simboli oscuri, di oggetti enigmatici giustapposti. Visualizzazione onirica, la pittura è per Francesca Mele esteriorizzazione dell’irrazionale e liberazione dell’Inconscio, espressione quasi tangibile dell’Ignoto. Si tratta di una scrittura pittorica quasi automatica in cui si fondono le ricche reminiscenze del passato con la sintassi estetica della modernità.
L’eredità del manierismo e dell’esuberanza barocca si meticcia con il surrealismo e l’iperrealismo per tradurre l’evanescenza delle chimere , l’angosciante irruenza di immagini spettrali, la magia dell’infanzia. Sensibile all’armonia arcana dell’Universo, affrancata della tirannia fallace delle apparenze, la pittrice addomestica l’Invisibile, flirta con il mistero, sfida l’Insolito.